I corpi gloriosi e la beatitudine

Nel Paradiso i beati godono della visione beatifica di Dio, la quale è il massimo piacere per l'anima. Quando ci sarà la resurrezione, avremo dei corpi uniti alle anime in Paradiso, ma in tal modo aumenterà anche il piacere che proveremo di stare al cospetto di Dio? Oltre a ciò mi viene un'altra domanda: non avremo bisogno di mangiare, ma in linea di principio potremmo farlo, infatti Cristo risorto mangiò con gli apostoli. Fermo restando ciò, l'eventuale mangiare sarà un piacere?

«Dio nella sua onnipo­tenza restituirà defini­tivamente la vita in­corruttibile ai nostri corpi riunen­doli alle nostre anime, in forza del­la risurrezione di Gesù». Così il Ca­techismo della Chiesa Cattolica ri­badisce la verità dogmatica della ri­surrezione della carne, ripetuta da ogni cattolico nel Credo. Mistero lu­minoso che nelle sue modalità «su­pera le possibilità della nostra im­maginazione e del nostro intellet­to », ma che nondimeno da sempre affascina e interroga credenti e teo­logi. Mossi dalla santa curiosità di sapere come sarà davvero il nostro corpo glorioso. «Nelle narrazioni dei Vangeli abbia­mo alcuni episodi in cui Gesù ri­sorto non viene riconosciuto subi­to – spiega padreGiovanni Caval­coli, dello Studio filosofico dome­nicano di Bologna –. Secondo san Tommaso la Scrittura ci vuole far capire che il corpo del Signore è ri­sorto sì a una vita fisica, tanto che si lascia toccare, ma una vita fisica tra­scendente, sproporzionata alla no­stra capacità visiva terrena, a meno che la grazia non illumini i nostri occhi. Così sarà anche per le sem­bianze e le qualità dei nostri corpi risorti». 

Manterremo allora un legame con la nostra identità di oggi? Saremo ri­conoscibili, magari anche per i no­stri attuali difetti? Secondo don Gia­como Canobbio, docente alla Fa­coltà teologica dell’Italia Setten­trionale, «su questo tema la rifles­sione teologica lungo i secoli si è sbizzarrita, senza trovare una ri­sposta soddisfacente. Si può certo dire che i nostri tratti resteranno, fanno parte della nostra identità, tuttavia non si può immaginare di portare con noi i nostri difetti, poi­ché in tal caso non vi sarebbe risur­rezione nel senso di compimento della nostra identità. A questo ri­guardo merita ricordare che la teo­logia classica parlava di una risur­rezione dell’anima che determina quella del corpo». Ma le piaghe del Signore risorto? Non implicano che anche noi porteremo nell’aldilà i se­gni della nostra sofferenza terrena? «Si deve tenere presente che le feri­te di Gesù sono la traccia della sua dedizione. In questo senso, se delle nostre ferite resteranno saranno quelle procurate dall’amore vissu­to. Diversamente si dovrebbe pen­sare che la nostra persona non sa­rebbe guarita neppure dalla risur­rezione e ciò comporterebbe la ne­gazione della risurrezione stessa». Anche sull’«età» ci si è interrogati a lungo nei secoli. Il nostro corpo avrà gli anni con cui ha cessato di vivere sulla Terra? Sarà quello di un vecchio, di un eterno ragazzo? O come ipotizzava Maritain lo ri­troveremo all’«età» di 33 anni? 

«Nella lettera agli Efesini si parla di Gesù come uomo nuovo – ricorda don Gianni Colzani, docente alla Pontificia Università Urbaniana –, in cui la vita umana raggiunge la sua pienezza. Per questo, per e­sempio nel Medioevo, si è spesso fatto riferimento ai 33 anni del­l’uomo risorto. Ma sono riferi­menti da leggere nel loro rimando simbolico al Cristo, di cui condivi­deremo la gloria e la potenza con tutto noi stessi. Tra l’altro noi par­liamo di 'risurrezione della car­ne', ma nella Bibbia con sarks, carne, si intende l’uomo nella sua completezza. Sull’'età' non pos­siamo dire nulla di certo». Certo è invece il fatto che rimarre­mo per sempre uomini e donne. Nessuna androginia sarà possibile nell’aldilà. Padre Cavalcoli: «Su questo anche Giovanni Paolo II ha detto cose molto importanti, e­splicitando alcune intuizioni di Tommaso d’Aquino. Ha collegato la prospettiva escatologica alla prospettiva edenica. Nella creazio­ne è detto che 'maschio e femmi­na Dio li creò', con una prospetti­va di unione fra uomo e donna che non è necessariamente quella matrimoniale e procreativa. Il Pa­pa ha precisato che nella risurre­zione ci sarà la ricostituzione di questa innocenza primitiva, di questo amore casto e puro, ma al­lo stesso tempo intenso, anche fi­sico». Vuol dire che l’amore fra gli sposi è destinato a durare in eter­no? «La sessualità della vita pre­sente è legata alla procreazione, mentre nella risurrezione l’opera della procreazione sarà cessata, perché nel mondo dei risorti non c’è più l’aumento della specie u­mana. È quello che intende il Si­gnore quando avverte che coloro che 'sono giudicati degni dell’al­tro mondo e della risurrezione dai morti, non prendono moglie né marito'. Ma l’amore delle coppie di sposi che in questa vita hanno vissuto intensamente il loro rap­porto coniugale, o l’affetto di san­te amicizie tra uomo e donna, re­sterà». 

Ritroveremo quindi i nostri cari, magari anche le nostre amicizie? «La nostra beatitudine – continua sempre padre Cavalcoli – sarà la visione immediata dell’essenza di­vina, del volto di Dio, come è stato definito da Benedetto XII nel 1336. Da questa verità di fede si posso­no dedurre dati non dogmatici ma di dottrina certa, fondata sulla tra­dizione teologica. Per esempio che in questa gioia perfetta, che contiene tutte le gioie e i valori, godremo anche della felicità di ri­trovare i nostri affetti di quaggiù, in una pienezza di comunicazione umana trasfigurata». Posto tutto ciò, una realtà di beati­tudine eterna, dove saremo faccia a faccia con Dio, in cui ritrovere­mo redenti anche i nostri santi a­mori terreni e in cui pure la nostra corporeità parteciperà di questa e­stasi, resta da capire perché pro­prio la risurrezione della carne sia stata combattuta dagli gnostici nei primi secoli della Chiesa e oggi si contrapponga ad essa uno spiri­tualismo orientaleggiante o di marca New Age. Perché cioè una ricorrente ostilità verso questo specifico – e così consolante – dogma? «Il motivo del riaffacciarsi di tendenze gnostiche sembra da cercare nel tentativo, un po’ goffo per la verità, di sfuggire alla ridu­zione scientista della realtà» com­menta don Canobbio. 

«Appare tuttavia pericoloso: le tendenze dualiste, che negano il valore della 'carne', hanno conseguenze ne­faste sulle relazioni interpersonali; conducono a volte a usare il corpo (in genere quello degli altri) anzi­ché a rispettarlo. In tal senso la confessione di fede nella risurre­zione della carne, per quanto vo­glia dire che si tratta della risurre­zione della persona nella sua di­mensione di fragilità e quindi di mortalità, è un antidoto alla nega­zione depressiva di sé e degli altri. Dice infatti il valore di quanto sia­mo stati fatti essere dal Creatore».

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La Santa Pietra
La Santa Pietra

Tony aveva 17 anni quando per la prima volta cominciò a sentire un dolore alle mani e al costato. Oggi, 06 Aprile 2014, dopo 11 anni, durante l'apparizione, il Signore ha permesso a Tony di togliere le fasce alla presenza di tutti.

Sia lodato Gesù Cristo.

L'albero della Luce
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